C. è un giovane uomo trasferitosi a Milano per lavoro dove ha avviato una carriera professionale promettente. Di recente ha ricevuto un’ulteriore promozione, ricavandone un sentimento di piena e meritata realizzazione personale. Ma adesso avverte che la situazione sul lavoro sta diventando difficile: piccole sgarberie, invidie, commenti sgradevoli dei colleghi nei suoi confronti. Così la sua sicurezza ha incominciato a vacillare e con essa anche il rendimento lavorativo. Non crede di essere più all’altezza del compito, stretto in un circolo vizioso: più si sente inadeguato più errori commette, errori che non fanno che aumentare il senso di inadeguatezza.
Mi racconta che la sua compagna, non capisce come un uomo “così perfetto” possa sentirsi “così incapace”.
Il racconto però mi fa pensare. Perché C. non reagisce? Cosa l’ha fatto scivolare in questa totale mancanza di reattività, forse ci sono ragioni diverse, definisce il suo vissuto come dolorosissimo, di solitudine profonda. Forse c’è un’altra origine.
È soprattutto quando mi dice che spesso si domanda se tutti i suoi precedenti successi non nascondano invece un totale fallimento che sento di dover andare più a fondo. Non capisco a cosa si riferisca e gli chiedo di essere più esplicito.
Mi racconta della sua scelta, quella di venire a Milano, come particolarmente difficile. C. ha lasciato la famiglia d’origine e un mondo di affetti, relazioni, ma anche ricatti morali e affettivi. A volte pensa di lasciare il lavoro e tornare al suo paese, ma ha il terrore che la sua famiglia non lo riaccolga favorevolmente: “Hai voluto andartene… “.
E C. non vuole ritornare a casa “da fallito”, perché in questo momento C. si percepisce solo così.
C’è sicuramente un vissuto di fallimento nel mondo interno di C. ma non riguarda il lavoro. Sembra piuttosto che C. si stia ponendo una domanda particolarmente dolorosa sulle proprie scelte affettive: “Ho lasciato un mondo di legami familiari sicuri (magari conflittuali, ma sicuri) per dedicarmi alla professione e affidarmi totalmente al legame affettivo con una fidanzata a sua volta molto impegnata nelle propria realizzazione professionale. E adesso che mi sento così solo mi chiedo se non ho sbagliato tutto.
C. è “bloccato”: crede di non riuscire ad andare avanti e di non poter tornare indietro. E sembra che questo sentirsi “senza possibilità di scelta” lo induca a fuggire almeno col pensiero: comincia a pensare cose strane che non capisce né controlla.
C. ha bisogno di “liberare il campo lavorativo” da valenze “altre”, che hanno a che fare con il suo sentirsi senza “una base sicura di affetti” più che con il suo sentirsi totalmente adeguato o totalmente fallito. Forse la giovane coppia ha bisogno di imparare a comunicare meglio affinché il mondo interno di ciascuno non venga frainteso o negato. Anche involontariamente.
Cerco di comunicare a C. di guardare le cose da un altro punto di vista, l’attuale crisi può essere un nuovo inizio, un’opportunità per pensare in modo più profondo a se stesso, ai suoi reali desideri, alle sue risorse e al percorso ancora da intraprendere.